ChiaraVita/Cap19

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Si promulga dal Visitatore il Secondo Vicario Generale a danno della Religione. Capo XIX.

Convenne il Visitatore Generale all’appetenza del defonto Vicario in nominare il succesore della medesima voluntà, il quale molto nefasto nella politica, et astutus omnia agit cum consilio[Notas 1], il quale cosi si fece asentire dal Visitatore. In quei stessi giorni della sua visita uno della sua religione di santa mente e di molto sapere disse che ne stava in gran maraviglia come i padri delle Scuole Pie ad occhi serrati havessero quello accettato per suo Visitatore, con altre parole de considerazione, che non essendo del spirito del loro santo fondatore, di sicuro per quello di certo apena gl’apportarebbe ogni danno e rouina. E così fù, poiche fece sentire e promulgare Vicario Generale della Religione il seguace del defonto all’amputato, e lo volse sostenere et assieme scommossero tutto il corpo della religione, che fù cosa lagrimevole. Operarono in modo che venissero in Roma soggetti che facevano al loro proprio e con l’instruzzione l’impiegavano in quelle case, in essa sono in tutti l’officii del governo e parti l’elessero nell’altre delle provincie al loro fine, al quale anelevano in sapere guadagnare altri, con che potevano arrivare a segno di perdere la religione la forma di quello spirito nel quale prima fioriva. E già havevano formate certe constituzioni e nuove regole, quali volevano si pratticassero per muttare affatto la prima osservanza dell’isntituto, e con il credersi d’haver fatto una gran cosa, con temerità e sciocheza gli fecero vedere d’alcuni signori principali, ma venite alle mani dell’Emmo. Cardinali Ginetti, come indegne e senza forma di spirito divino le nascose, ne mai le fece comparire. Così si degnò questo Emmo. parteciparmi, e me le volse donare.

Tenevano di più oppressi, e nell’oscuro tutti quelli che sapevano essere di giusta mente, quali non potevano ne apena parlare; ma ben si erano mortificati et oltraggiati, e mandati in parti lontani con la mira del loro incommodo e patimento per farli terminare. Si dava di mano e con artificio ai mancamenti, d’onde ne potevano sortire inquietitudine di reclami e disensioni, acciò queste gli servissero a prevalersi, et in occasione di rappresentare, esaggeravano li defetti, quali essi formavano, e nell’expresione del loro zelo e dell’impegno n’incontravono doppo tali depportamenti nel loro governo, per suscitare maggiore il fuoco che accendevano a danno della povera religione, in modo di quello dice il Savio, si vedeba in multiplicatione impiorum multiplicabunt scelera, et justi ruinas eorum videbunt[Notas 2].

Non si vedeva mai il Vicario Generale con i padri nell’orazione et esercizii comuni della religione, ma e sotto pretesto di pransare in altra casa della religione, dove faceva sentire era de bisognio la sua persona, dormiva anco e cenava in casa de suoi parenti o secolari amici. Ne ciò dirsi, poteva essere creduto, o altro di male faceva, ma bensi tenevasi per impostura di calunnia e maledicenza. Al concetto l’accreditava il Visitatore che il tutto faceva al fine del suo intento. Soffocava il calore naturale il cibo, che eccedeva nel ventre di cotessi come l’acqua et il vino cagionano negl’hidropici maggiore sazietà agl’inganni e con arte sempre si facevano conoscere nel senso di buona voluntà. Promulgando per tutto la speranza d’ogni aggiustamento, gl’inviavano per la strada di poi, per condurli alla casa di non mai.

E colorando gli loro fatti con il finto mando di pietà in fare anco mostra di stima et affetto verso il P. Fondatore, quando non potevane fare di meno. Pero li venti che aquesti di soverchio soffiavano, non affrettavano il camino alla nave pietosa, ma il suo naufraggio, il tutto incaminandosi con arte e con inganno davero intendevano abolire il buon vecchio e la sua religione. Con l’apparato di tutto quello stimavano fare acquisto coloro cercavano nel male, ciò che la virtù concede in opprimere il suo Padre con danno del povero instituto. Standone, dall’altra parte il servo di Dio solo en esso appoggiato nel quale conosceva vere le sue speranze, sempre con la serenità della sua anima deplorando quella miseria, supplicava il divino aiuto a tanti danni pativa la povera religione, con rassegnazione della mente in tutto quello voleva Dio, mai apprendo la sua bocca. Se parola gl’usciva era: “Lasciamo fare a Dio; a buon hora, pazienza. Bisogna farsi quello che Dio vuole di noi, e con l’Ecclesiaste, omnia Dominus fecit, et pie agentibus dedit sapientiam[Notas 3]”.

Alla fine il Visitatore, quale giusta lo descrive il Savio a sapersi guardare da si simili nelle sequenti parole: Labiis suis intelligitur inimicus, cum in corde tractaverit dolos, quando submiserit vocem suam, ne credideris ei quoniam septem nequitiae sunt in corde illius[Notas 4], con il Vicario Generale nell’istesso tempo publicarono anco con lettere l’aggiustamento della religione, et reintegrazione del P. Generale al suo officio con fare leggere una copia dell’informazione esso diceva haver fatta favore(vo)le all’instituto, ma infatto si seppe tutto l’opposto, e contrario in quella asseriva essere data. E l’un e l’altra hoggi si conferma dall’istessi originali la copia. Ecco si sentono l’effetti della politica con inganno nel decreto ottenuto nel Breve della reduzzione della religione in congregazione secolare, quale si pubblicò nella casa di S. Pantaleo in Roma alli 18 di marzo 1646, standovi presente il Padre fondatore, che a guisa d’un altro Giob altro non dise: “Sicut Domino placuit, ita factum est. Sit nomen Dominis benedictus. Di qua a poco saremo tutti avanti a Dio, e sarà conosciuta la verità”.

Questi furono li fini della visita del sudº Visitatore e Vicario Generale, conosciuti nell’effetto si vidde, a danno della religione, senza alcun utile del loro bene, ma con doppia misura della miseria delli medesimi. La giustizia di Dio quanto è più tarda, tanto è severa, per quello avvenne nella persona del secondo Visitatore sudetto, quale a sei maggio del 1647, nel quale giorno tre anni innanzi havea ottenuta la facoltà di visitare la nostra religione, al termine che finì la sua visita, assalito de gravi dolori de mal de pietra, per il quale gli medici gli diedero un taglio, per non sentire l’acerbità de quelli dolori l’affligevano, prese l’oppio la sera per potere anco dormire. Nel matino lo ritrovarono morto disteso in terra vicino al letto con ammirazione di tutta Roma.

Tolse parimente il flagello di Dio la persona del secondo Vicario Generale nell’anno 1648, il quale in occasione di parlarsi de’ mali accidenti pativa la religione nella sua presenzia, si lasciò dire con temerità che egli poteva, e valeva afatto a diradicarla dal mondo. E perche gli fù risposto che temesse più presto, ciò non avvenisse alla sua persona, esso, questo udito, tutto irato deliberò di farne mandare via dalla casa di S. Pantaleo tutti quegli così gli dissero, et anco l’istesso P. Fondatore, che nulla sapeva. Ma di la dui giorni comparve il misero tutto pieno di lepra con febre acutisima nella casa del colleggio Nazareno. L’andò due volte a vedere il buon vecchio, e con paterno affetto lo visitò, et esso avvinto da una tanto gran carità, e bontà del servo di Dio, tutto si diede al pentimento, e dolendosi de’ mali gli haveva fatti, et alla religione, gli chiese piangendo perdono, e fù risoluto di volere con publica scrittura di notaio manifestare al mondo quanto in contrario s’havea da se, e dall’altri sudeti operato di malo. Non volse in modo alcuno il servo di Dio ciò si facesse, ne permise che altri dassero l’orecchie a questi fatti, ma che di tutto cuore havendo gia esso perdonato e pregatone il Signore per il bene dell’anima sua, egli attendisse con il dolore ed spiacimento di quel male tutto riconosceva haver fatto d’ottenerne il perdono da Dio, nel che esso non mancherebbe d’aiutarlo. Con tal disposizione et aiuto del suo buon padre, quale doppo qualche hora mandò subito due della casa di S. Pantaleo al collegio per i quali gli fece sentire che incontinente gli dasero li santi sacramenti, altrimente facendo non sarebbe più a tempo. Così eseguendosi, in haversi comunicato fù presto assalito da un delirio, e in quello se ne muori alli 9 di gennaro, con stupore grande di tutti quelli che ciò intesero e viddero. Il P. Fondatore volse che si portase il suo cadavero alla chiesa di S. Pantaleo, dove con ogni carità fatteli fare l’esequie da’ nostri religiosi. Fù sepolto nella sepoltura de’ padri, di che tutto Roma ne rimase assai edificata e sopra onfi altro il Sig. Card. Ginetti protettore, quale tra gli altri disse: “Non bisogna pigliarsela con servi di Dio”.

Nel medesimo modo tutti quelli altri cooperarono ai danni della religione e del suo fondatore in varii accidenti di disaventure oppressi finirono malamente li loro giorni con quali castighi manifestò Dio la sua giustizia, e la grazia e protezzione nella quale teneva il suo servo, contro il quale nel principio di questi travagli anco si referisce, come il P. Gioanne Mazzarelli d’altra religione, havendosi avveduto essere stato esso quello, che inconsideratamente havendo prestato fede alle buggie del primo Vicario l’havea portato con sue lettere, che fù l’origine d’ogni male e principio di tutti i danni, quando si vidde giunto da un male di concredine nella faccia, che lo portò a la morte nel mese di luglio nel 1643, piangendo la sua disaventura pregò a nostri religiosi che si cooperasero a suo nome di chiedere perdono del male che havea fatto di credere a quanto falsamente gli haveva rappresentato quello in danno della religione et offesa del P. Fondatore, acciò esso con le viscere della sua pietà perdonandolo l’aiutasse appresso Dio in quello si conosceva purtroppo colpevole.

Notas

  1. Prov c. 13. (v. 16)
  2. (Pro 29, 16)
  3. Ecc. C. 63 (Si 43, 37)
  4. Pro. C. 26 (24-25)