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[101-150]

101.Per darli satisf.ne, le disse che venisse la matina seguente che l’aspettava, che haveria fatto come voleva lui. Tornò Jacomo all’orto, disse alla Moglie che stasse attenta alla casa et all’orto, che lui andava a far l’ubidienza del Papa, e che fra pochi giorni saria tornato, e se non haveva danari si raccomandasse a Dio, che la provedesse: pane, vino e cipolle, e legumi haveva, che quando tornava haveria pagati tutti, raccomandò anche il lavoro ad un operaio acciò facessero il dovere, e che non si gabbassero, pche non gabbavano lui, ma loro medesimi. La matina se n’andò dall’Ambasciatore, trovó la letiga in ordine e quel Cavaliero che l’accompagnava con li stivali per montare a Cavallo, le disse: Sig.re son venuto, andiamo. Li rispose l’imbasciatore che si mettese in lettiga, che quel Gentilhuomo saria andato a Cavallo.
102.Datemi disse la mia giornata, e poi entra p.ma in lettiga lui che anderemo assieme, che non so che si sia ne lettiga ne cavallo, e mi fate fare cose, che mai ho fatto. Dio perdoni, chi mi mette a queste cose.
Cacciò mano il Cavaliere alla borsa, e diede tre piastre fiorentine all’ortolano e lo dimandò se li bastavano.
Sì, disse Jacomo, che mi bastano. Postisi tutti due in lettiga andarono alcuni poveri alla lettiga, e li cercarono elemosina, e Giacomo li diede una piastra p. uno, e doppo disse al Cavaliere che dasse qualche cosa a quei Poverelli p. amor di Dio, acciò li facesse far buon viaggio, e quelli l’accompagnassero con le loro orationi.
Il Cavaliere diede quel che poteva, et ogni volta che incontravano qualche povero l’esortava a far elemosine, che non li riusciva come pensava pche haveva tanto danaro assignato quanto li bastava p. il viaggio, e Giacomo haveria voluto, che dasse ad ogni Poverello qualche cosa, ma il Cavaliero che era necessario che pensasse al viaggio che haveva da fare, et ogni matina l’haveva dar tre piastre ogni matina. Seguitarono il viaggio raccontandole Jacomo molte cose come si faceva l’oratione mentale. Era tardi assai e non si pensava a mangiare, e Giacomo era tanto distratto in questo discorso che non pensava ad altro.
103.Giunti all’osteria di Bassano, il lettighiero disse se volevano mangiare, non haveriano havuta meglior comodità di quella.
Il Cavaliero li disse: Messer Jacomo vogliamo far colatione.
Li rispose che lui non haveva danari che li comprasse una pagnotta, et una cipolla, che l’haveria fatta la spesa che faceva per lui all’altra giornata.
Si mise a ridere il Cavalliero, e mangiamo, non pensi ad altro. Fece apparecchiare un buon pranzo di Piccioni e Caponi da paro suo e Messer Giacomo le disse: Sig.re non spenda tanto per me pche Io son Povero et ortolano, non posso corrispondere a queste, mi basta pane, cipolla et un poco, e la mia giornata la voglio spendere bene.
104.Ricordatevi disse il cavaliero, che il Papa vi ha comandato che state sotto la mia obedienza, voglio che mangiate e bevete allegramente come faccio Io, haverete la vostra giornata, e fatene pure quel che vi pare.
Mangiarono, e volendolo servir di Coppa un servidor del Cavaliero, li disse che non voleva, che mettesse pure il bocale, che voleva bevere quando li piaceva, che tante cose mangio posso e pur bere; la sera fece il med.mo, che per non (dar)suge.tto al Cavaliero volse una stanza lontana dall’altri passagieri dicendo al cavaliero voleva star solo pche non l’haveria fatto dormire che notte non faceva, e pche li portava rispetto, li faceva fare come lui voleva.
105.Andarono a riposare, e Giacomo si ritirò alla sua stanza, smorzò il lume e si serrò da dentro, non stie due hore che il Cameriero dell’ostaria andava vedendo le stanze, e quando fù a quella di Jacomo vidde un gran lume, cominciò a pensare questo spense il lume, et hora par che vi sia nella stanza un gran fuoco , vidde p. una buca della (porta) che Messer Jacomo stava inginocchiato, che pareva esser attorniato di risplendenti lumi. Stupito il Cameriere chiamò il Cavaliero e li disse che quel Contadino faceva oratione e pareva che li raggiasse, che andasse a vedere che cosa era quella.
Andò il Cavaliero pianpiano, e vistolo in quella foggia disse al Cameriere, che non parlasse e non li dasse fastidio pche era un gran Servo di Dio, e lo mandava il Papa a tener a battesimo il figlio del Gran Duca, che non facesse motto a nessuno di quel fatto. La matina a buon hora andò dal Cavaliero e li disse, che era hora di partirsi, che li dasse la sua giornata, che s’avviava pianpiano avanti e l’haveria aspettato poco lontano.
106.Subito il Cavaliere diede ordine che si mettesse all’ordine la lettiga, li diede le tre piastre, e li disse che li pareva presto, che aspettasse che sariano andati a caminar assiemi, chiamò il servidore acciò chiamasse il Cameriero p. consignarle le robbe, andarono alla Camera dove era stato Jacomo e trovarono il letto come l’haveva lasciato la sera, che non vi haveva dormito.
Andava cercando qualche Povero p. farli elemosina, mà p.che era di notte non trovò nessuno et era tutto malinconico, ne li venne mai l’allegrezza se non dispensò le piastre p. amor di Dio, il che al cavaliero pareva di strano un pover huomo dar quanto haveva ai Poveri
Seguitarono il viaggio e sempre fece il med.mo, sicche quando giunse in Fiorenza non haveva un quadrino, anzi dal lettigliere s’era prestato non so che testoni p. darli ai Poveri senza che lo sapesse nessuno, che poi a Fiorenza li fece restituire dal Cavaliero.
107.Fù avisato il Gran Duca ch’era giunto il nostro ortolano; subito l’andò incontro con una mano di Cavalieri, lo prese per la mano p. introdurlo al suo appartamento, et il Povero Jacomo si trovò tutto impicciato, e non sapeva quello che l’era successo, e quel cavalieri si guardavano l’un l’altro vedendo quella stravaganza, far tante carezze ad un ortolano.
Jacomo li disse: Sig.re, ecco l’ortolano venuto per ubidire al Papa. Spieditemi presto pche ho lasciato il mio orto in mano d’altri, ne posso star fuora di Casa mia. La p.ma gratia che li cerco è che mi tratta come fa il Papa che mi fa entrare quando mi vole senza tanta gente. La 2º che mi facia stare solo nell’orto, acciò possi starmine solo, e mi faci sbrigare p. tornarmene presto.
Li rispose il Gran Duca: si farà quanto volete, mà che tanta prescia, che faremo provedere di quanto bisogna alla Casa vostra, e scriveremo al nostro Ambasciatore che facci provedere di tutto.
108.Li replicò che la Casa sua non haveva bisogno di cosa alcuna, che già vi era chi la provedeva, e solo haveva bisogno della sua persona. Havete fatto tanto rumore, che venga qui Jacomo l’ortolano, che non mancano persone a tenerli in fonte il Prencipino. E non si quietò mai se non li fù asseganta una Casa al giardino, che fù quella nel Palazzo di Pitti, dove andò lo stesso Gran Duca ad accompagnarlo, assegnandoli lo stesso cavaliero, che l’haveva condotto, pche sapeva il suo costume, e non voleva nessuno che li stasse attorno
Si sparse la nuova p. Fiorenza, che era venuto Jacomo ortolano, et ognuno haveva desiderio di vederlo, siche la matina erano tanta gente, che l’aspettavano, et (il) Gran Duca diede ordine, che se n’andassero, che l’haveriano venuto p. la città quando sarà suo tempo.
Raccontò il cavaliero al Gran Duca quanto l’era occorso p. la strada, che il genio di quest’huomo era di far elemosine, e non voleva altro che s’esigere, faceva oratione, e parlava delle cose divine come se fusse il maggior Teologo del Mondo.
109.La matina andava passegiando Jacomo p.quei Giardini et andava discorrendo con quelli che havevano cura dell’orto, e voleva sapere minutamente come facevano, pche lui da Roma l’haveria mandate delle semente p. far dell’insalate, et altri erbaggi, ma con tutti cose ortolane, ma alcuni cavalieri travestiti, che p. curiosità volevano parlar con lui, e pche non li sapevano rispondere, li disse, che li va meglio la spada che la vanga nelle mani, cossì furono scoverti et il Gran Duca rideva.
Li portò il cavaliero una borsa con alcuni danari, acciò si prendesse la sua giornata, come diceva lui, e presi tanti giuli quanto erano sei piastre, perche due giorni pensava di dimorare in Fiorenza, e poi li disse se voleva andar a visitar la S.ma Nuntiata e sentir Messa , che ne l’haveria condotto.
Li rispose che questo è quanto desiderava, mà bastava che m’accompagna il suo servidore, acciò non le fusse dato fastidio mentre che faceva oratione. Tanto fece il Cavaliero, chiamò il servidore e li disse, che accompagnasse quell’huomo alla Nunziata, e che non dicesse a nessuno chi era, fintanto aviso il Gran Duca, che Jacomo hora andava alla Nunziata.
110.Subito il Gran Duca se n’andò p. una porta secreta, e postosi in una Gelosia, che non fusse visto, ma da che potevasse veder Jacomo i motivi che faceva mentre faceva oratione.
Da che usì Giacomo dal palazzo di Pitti e dal Giardino andava tanto allegro che pareva un pazzo, quando fù avanti la Chiesa comiciò a dispensar le sei piastre a Poveri che facevano un gran rumore e non altro, che quei poverelli s’accostavano ad haver elemosina, che non li restò niente.
Giunto che fù alla Vergine Santi.ma s’ingenocchiò e non pareva che stesse in genocchio, e vi stiede siche si finirono tutte le messe, havendo quei Religiosi serrata la balaustrata acciò nessuno entrasse a darli fastidio come haveva ordinato il Gran Duca, che non si volle partire per veder tutti i motivi che faceva; mai si vidde movere, stava guardando la santissima immagine con braccia piegati e pareva che ridesse. Stanco il Gran Duca chiese il Cavalariero che lo portasse a Palazzo p. una porta secreta, che voleva discorrere seco.
Andò il Cavaliero, lo chiamò e come che si svegliasse da un profondo sonno, li disse, che cosa voleva, che l’haveva svegliato.
111.Li rispose che era tardi et i frati volevano serrar la Chiesa, andiamocene p. questa porta secreta acciò nessuno vi veda, mà li rispose: mi vedrà il Gran Duca. Entrati in palazzo lo portò p. certe stanze dove non era nessuno, finalmente trovò il Gran Duca, li fece sedere e cominciarono a discorrere di molte cose di Roma, del Papa, et introdusse Giacomo un discorso spirituale, che mai finiva. Alla fine stanco il Gran Duca: Messer Jacomo e già l’ora di pranzo, e pranzeremo assiemi.
Sig.re, li rispose, p. amor di Dio, lasciatemi andare nella mia stanza, se volete che mangi quieto, contento e non fù possibile che vi restasse, e cossì lo licenziò mandandoli dalla sua tavola, quanto era apparecchiato.
Li mandò a dire, che seria stato meglio se quella spesa l’havesse dispensata ai Poveri.
112.Venuto il giorno della funzione p. far la funzione del Battesimo fù fatto un grand.mo apparato. Pareva ad alcuni della Corte del Gran Duca che Jacomo nella funzione fusse fatto vestire con qualche vestito megliore, pche il Battesimo lo faceva l’Arcivescovo di Fiorenza e già erano venuti tutti i Vescovi del Stato, e tutta la Nobiltà invitata, come anco molti Sig.ri forastieri, mà il Gran Duca non volse acconsentire a questo, dicendo che il vestito non importava, ma la bontà della vita, e se si diceva questo a Jacomo, forsi si seria disgustato, havendo fatto il patto con il Papa, che non voleva esser trattato se non da ortolano.
Fù fatta la funzione con ogni satisf.ne di tutti, e Jacomo con la sua semplicità fù portato a visitare la nuova Commare dal medesimo Gran Duca, il qle s’assentò vicino al letto rallegrandosi, che Dio l’haveva data succesione, e sperava che fusse figlio di Bened.ne et il Papa lo benediceva, come haveva detto a lui. Si cavò dalla saccoccia una Medaglia, e la diede in dono acciò gliela mettesse sopra scusandosi che come Povero non haveva altro che darli. Prese licenza dalla Gran Duchessa per tornarsene a Roma, mà il Gran Duca li disse che si trattenesse almeno due altri giorni. Li rispose che non poteva più trattenersi pche pativa l’orto, et haveva promesso al Papa tornarsene subito.
113.Pensavano di regalarlo di qualche buona somma di danaro et il Cavaliero suo conduttore, che tutto quel che l’havevano dato, l’haveriano dispensato subito ai Poveri al suo solito, ma che se li dassero le sue giornate come lui voleva, e poi farli fare qualche regalo in Roma. Il Gran Duca lo pregò, che si contentasse lasciarli qualche ricordo come si doveva governare p. piacer a Dio et al suo Popolo. Li rispose che lui era un ignorante, che legessi i libri di Salomone, che li bastavano, che facesse sempre elemosine e non strapazzasse i vasalli, che non li scorticasse, mà solo li levasse qualche poco di .lana, che levandola tutta si moririano di freddo, esser nel governo più compassionevole, che rigoroso e cossì l’amariano tutti come Padre.
114.Li pose una Collana d’oro il Gran Duca a Giacomo, che se la tenesse p. memoria sua, et havesse patienza del fastidio et incomodo che l’haveva dato, che pregasse p. lui e p. la casa sua e p. i suoi vassalli, offerendoseli a quanto poteva.
Lo ringratiò, e li disse, che quella non era cosa p. lui, mà che haveva fatto patto solo delle giornate, ma che l’haveva data quella collana, la voleva donare a chi li piaceva.
Li replicò il Gran Duca, che facesse quel che li piace, che già n’haveva acquistato il dominio.
Con la stessa Collana, si fece accompagnare alla Sma.Nunziata dove stiede quasi tutto il giorno, e poi lasciò la Collana e si ritirò alla sua stanza del Giardino, dove il Gran Duca l’andò a vedere e stiedero tutta la sera assiemi discorrendo di molte cose spirituali. La matina li fù apparecchiata le lettiga e lo condusse il med.mo Cavaliero in Roma, dandole sempre le sue giornate, e quando giunsero in Roma li pagò qualche debito che haveva fatto p. strada, p. haver dato il tutto p. amore di Dio.
115.Giunto in Roma Giacomo, se n’andò dal Papa a raccontarli quanto haveva fatto, che n’hebbe un gusto grande.
Una matina avanti alla Chiesa di S.Carlo de Catenari, mentre che passava il P.Gioseppe vidde Messer Giacomo ortolano che lo seguivano molta gente, dimandò che cosa era. Li fù risposto che era ritornato da Fiorenza e tutti n’havevano allegrezza, tanto era conosciuto p. Roma.
Se l’accostò il Padre, e rallegrandosi seco, cominciarono a discorrere di cose spirituali et il P. li disse, che li voleva far vedere una cosa, che non haveria creduta, e che quando l’haveria vista l’haveria havuto a caro.
Di gratia li rispose l’ortolano, andiamo adesso, che non ho da fare, perche poi sul tardi è necessario che vada all’orto.
116.Lo portò da Vittoria, et cominciarono a discorrer seco della Gloria del Paradiso, sedendo Jacomo sopra la cassa et il P.Gioseppe sopra la scala, durò tutta la matina quel discorso, che mai Jacomo si poteva satiare di sentirla e mirarla, onde fattosi assai tardi il P.Gioseppe, li disse: Messer Jacomo, diamo troppo sogetto a questa nostra sorella, vi tornaremo un altra volta, mà è necessario lasciarle qualche elemosina, acciò possa vivere pche vive di Carità, et Io sempre li dò qualche testone, e ditemi la ragione pche tanto l’havete guardata in faccia. Si cavò de la saccoccia un giulio, e glielo diede dicendoli che non haveva altro p. allora, et usciti fuora: non havete osservato P.Gioseppe, che quella Giovane è tutta cinta di Raggi d’oro, e spira tutta santità? Beata lei, che gode con la sua semplicità il Paradiso in terra, è necessario aiutarla acciò non patisca, pche è tanto Povera che non vi è mezzo da sedere in casa sua; quanto poi che Io l’habbia dato tanto poco, non havevo più, ne in casa credo che vi sia altro danaro, è vero come dice, che mi vogliono bene il Papa, i Cardinali, e tutti l’Ambasciadori e Pren.pi, ma con tutto ciò non voglio mai niente da loro, e se alle volte mi danno qualche cosa p. loro cortesia, tutto dò ai Poveri, pche a mè provede Iddio conforme ho di bisogno e non mi manca mai, e sappi, che quando tengo l’operarii al mio orto, non ho mai danaro per darli loro giornata, li dò pane e vino come è l’usanza, e la sera con una confidenza grande dico: Sig.re s’hanno da pagare questi operarii, e non ho che darli, provedetemi, acciò possi satisfarli, e quante volte metto la vanga in terra, tanti testoni trovo quanti operarii sono, e cossì Dio mi provede secondo il mio bisogno, ne mai mi sconfido della Misericordia sua, si bene ho il contropeso di mia moglie, che non darebbe niente a nessuno se li vedesse morire, ma spero, che s’andarà emendando come ha fatto d’una altra Cosa.
117.Pregò il P.Gioseppe Messer Jacomo, che si contentasse andar a vedere le sue stanze, dove stava e far un poco di rifettione assiemi.
Si contentò Giacomo, et andati al Palazzo del Cardinal Colonna, andarono al suo appartamento, e quando vidde le fenestre che corrispondevano in Chiesa li disse: P.Gioseppe havete assai megliori stanze del Cardinal pche se lui vol salutar il Sant.mo Sacramento non ha quella comodità, che havete voi, e pciò è necessario far assai oratione pche havete la comodità acciò sappiate conoscere quel che Dio vuole da voi. Facciamo un poco d’oratione assieme acciò c’ispiri quel ch’è meglio per salute dell’Anime nostre.
118.Si pose in genocchio, e vi stiedero più di due hore, intanto, che il P.Gioseppe era stanco, e non poteva più, che ora soleva un genocchio, et ora alzava l’altro, e Giacomo sempre inmobile, che si moveva mai dal suo posto. Finita finalmente l’oratione, mangiarono quel che li portò il servidore e con questo Messer Jacomo li raccontò questo esempio. Sappiate Padre Gioseppe, che Io ho una moglie che mai l’ho potuta indurre a far oratione, e quando li dicevo qualche cosa, se ne rideva e mi teneva per pazzo, ma ho tanto pregato Dio che l’illumina, che da p. se stessa s’è emendata, et hora non vol far altro (che) oratione. Nel mio orto ho le stanze, dove stò con mia moglie, con l’utensilii e masseritie di Casa e poi ho un’altra stanza separata da cento passi lontano dove mi ritiro la sera a far oratione, lasciando ordine a mia moglie che facci oratione, mangi e poi vada al letto.
119.Una sera impatiente questa Donna volle venir a vedere che cosa mi facesse e pche non andavo a Casa. Verso le tre o quattro hore di notte venne alla mia stanza a vedere quel che mi facevo, e calatasi in terra cominciò ad osservare dalla bassa della porta, li venne in faccia una fiamma di fuoco, che pareva la volesse abruggiare, li venne tanta paura, che cadde in terra tramortita, che non fece poco carponi a tornarsene a Casa tutta tremante per lo spavento. Fatte le mie devotioni tornai a Casa e la trovai in genocchio sul letto con tanto spavento, che appena poteva formar parola, e stupito vederla in quella posizione la domandai che cosa faceva, e pche stava in qlla guisa.
120.Mi rispose: Messer Jacomo, perdonatemi, se vi ho disturbata dalla vostra oratione, e mai più m’impacciarò di quel che (fate) ne di notte, e ne di giorno, pche quel fuoco, che uscii da sotto la porta m’ha tanto infiammata, che mi son risoluta far sempre oratione, mà voglio che m’insegna come ho da fare, pche non ho altro desiderio di lasciar andar il tutto, e darmi all’oratione, e servir a Dio. Li rispose Messer Jacomo, che imparasse a dar fastidio a chi si dava di cuore a Dio con far oratione; e mentre, che Dio haveva preso questo mezzo, attendesse pure che l’haveria aiutata, ma non bastava solo far oratione, che vi voleva un altra cosa, ch’era di grand.ma importanza se voleva far bene l’oratione, era necessario essere misericordiosa con li poveri et havesse ferma fede e speranza in Dio, che l’haveria sempre provista d’ogni bene, e facendo cossì saria esaudita da Dio in tutte quelle cose, che l’haveria demandato.
Fù questa Donna tanto caritatevole, che mai negò cosa a nessuno, anzi quando non haveva che dare si prestava e quando tornavo in casa restituivo il tutto. Sicchè P.Gioseppe mio siate misericordioso, fate oratione e poi fate l’esperienza che Dio non vi abbandona. Sappia pure interpretare la Volontà Divina, e tira avanti quel che ha cominciato, che vi prometto che farete del bene, e vedrete cose grandi.
121.Tutto questo discorso mi disse più volte il Venerabil Padre in materia dell’oratione, e mentre che m’andava raccontando questo m’ero scordato de nomi di caterina, e francesca, lo dimandai di nuovo come si chiamavano quelle Donne e vedendo che li scrivevo mi domandò pche causa li notavo.
Li risposi p. mia curisosità p.che ho pochi.ma memoria, che all’occ.ne me ne possi riccordare. E benche lui havesse in quel tempo Novant’un Anno si raccordava tante cose, che faceva stupire.
Quando vedeva, che s’entrava in qualche discorso inutile come che all’hora erano le rivolutioni nel Regno di Napoli eravamo nel tempo della Recreatione quasi quattro o cinque con lui, che alle volte raccontavamo qualche nova che si sentiva, e lui entrava in altro discorso, e raccontava le cose quando era giovane, che tirava un palo di ferro venti passi o vero quando andava a caccia alli conigli, che alzava con la bocca un barile pieno di vino, et altre cose somiglianti e poi ritorceva il tutto in cose spirituali dicendo che i Religiosi solo devono parlare di cose di Dio, che questi discorsi lasciamoli ai secolari pche siamo obligati andar avanti alla perfe.ne.
122.Quanto alla providenza Divina si possono raccontar molte cose, che ho sentito dire da persone degne di fede, et un caso che raccontarò hora l’ha visto Ventura Sarafellino, uno delli p.mi operarii che pagava il Padre da quando incominciò l’Instituto, che fù questo Sarafellini, il quale era eccellente scrittore e lui fece le lettere alla Cupula di S.Pietro a tempo di Paolo quinto, che dicono Tu es Petrus et super hanc petram & Questo morì dell’Anno 1662 e sempre fece scuola a S.Pantaleo con grand.mo esempio tanto di Padri come di scolari, ne mai li fù negato il suo stipendio, e se li dava dalla nostra Cucina quel che si poteva, non solo p.lui, mà p. la moglie e figli. Oltre la paga di due scudi il mese, sempre il P. li dava qualche cosa più, e questo lo sò Io, che l’havuto e pratticato.
Si comprova anco questo con alcune lettere scritte da Napoli dal Venerabil P. dell’Anno 1626, al P.Jacomo di S.Paulo, che li dice che finiva la terzana di Messer Ventura Sarafellini che li facesse dar satisf.ne come si pul vedere nel libro delle lettere raccolte da me.
123.Dell’Anno 1650 mi raccontò Messer Bonaventura Sarafellini, pche sempre l’andavo dimandando delle cose successe al nostro Padre, fra l’altre cose mi disse, che mentre stavano le scuole al Palazzo incontro la Chiesa di S.Pantaleo p. andar alla Piazza di Pasquino, vi erano da dieci scuole, la pma delle quali faceva il P.Gasparo Dragonetti da Lentino in Sicilia, et haveva un grand.mo numero di scolari; l’Abbaco e scrivere lo faceva il P.Fundatore con l’aiuto del Serafellini, il quale a quel tempo stava in Casa, e non haveva moglie. L’altre scuole li facevano altri, chi pagati, e chi viveva in comunità con quella povertà, che poteva havere il P.Fundatore, e quando non haveva le cose necessarie, faceva qualche debito p. poi pagarlo quando Dio provedeva.
124.Una matina mentre il P.Prefetto stava avanti la scuola dando lettione d’Abbaco passarono alcuni scolari del P.Gasparo e domandati dal P. dove andavano, li risposero che il P. l’haveva licenziati, e non voleva far più scuola, et a poco a poco andavano tutti via.
Sentendo ciò il P. fece entrar tutti li scolari del P.Gasparo alla sua scuola con ordine che nessuno partisse che saria stato peso suo, che tornassero a Scuola.
Se n’andò lui alla scuola del P.Gasparo, e lo dimandò, che novità era quella, che haveva mandati e licenziati via i suoi scolari con scandalo grande di non solo loro mà di tutta Roma, li dica pure liberamente la Causa, che lui haveria rimediato a qualsivoglia disordine, che vi potesse essere; il che non credeva per che sapeva benissimo che tutti l’honoravano non solo come è Maestro, ma come è Padre, che tale ognuno di loro lo piangeva.
125.Al che il P.Gasparo liberamente li disse: P.Prefetto, i debiti crescono e stiamo con tanta Povertà che a mè non basta più l’animo di far più scuola, e però l’ho licenziati e penso ritirarmi. Modicae fidei, li rispose il Padre, quest’è la parola che havete dato alla Madonna Santissima quando venisti a servirla, mi maraviglio non poco di voi. Che cosa vi è mancato, che la Beata Vergine non habia provisto abbondantemente? Se vi son debiti le si l’ha da pagare et Io vi prometto da parte sua. Attendete pure, che vedrete miracoli.
126.Tornate in scola, che poi trovaremo il rimedio di quanto bisogna, habiamo confidenza in Dio, che ci provederà più di quello che pensate, che ben sapete quel che dice l’evangelo che provede l’uccelli dell’aria senza che seminano o mietano. Siamo noi fedeli sino alla Morte, che Dio provederà e vedrete che non m’inganno. Vedete che la volubilita`dell’huomo è cosa perniciosa pche provoca il scandalo del publico. Perseveriamo nei nostri buoni proponimenti sino alla fine, se vogliamo havere la Corona del merito, che sta non a quelli che cominciano bene, ma a quelli che perseverano sino al fine. Tornate pure in scuola, che quando considerarete bene questo che vi dico, trovarete la verità, la quale è una sola e mai mentisce.
Io conosco benissimo, che questo è inganno del primo et mio antico Inimico, prevede il bene che si deve da noi farsi per guadagnar Anime a Dio, e cossì disturba questo bene che facciamo a questi Poverelli p. amor di Dio, non vi fate vincere dalla tentatione e tornate in Scuola, che tutti li scolari stanno abbasso aspettando che li chiamate. Son tutti malenconichi e l’ho trattenuti a questa con speranza che si seguirà meglio, che p.ma. Restò molto confuso il P.Gasparo s’ingenocchiò cercandoli perdono, che voleva perseverare mentre che era vivo.
127.Tornò in scuola il P.Gasparo con il P.Gioseppe, fecero chiamar li scolari e li diede ordine che ognuno attendesse a studiare e stassero all’ubidienza del Maestro pche alcuni non attendevano da dovero e si preparassero tutti alla Confessione e Comunione, che haveria fatti venire due Confessori apposta da S.Lorenzo in Damaso, acciò pregassimo Dio, che infervora tutti al suo santo servizio, e sappiamo cavar frutto da quel che si pretende. Havete un Maestro che vi ama come figli, e corrispondeteli con portarvi bene, e diciamo hora in ringratiamento del buono progresso le letanie della Beati.ma Vergine, acciò ci impreti dal Sig.re la sua santa gratia, e cominciamo con maggior fervore che prima a studiare.
Li fece tutti ingenocchiare e con grand.ma devotione dissero le letanie della Madonna, poi un Pater et una Ave Maria per i benefattori, et un altro per loro medesimi acciò sappiano cavar frutto delli Sant.mi Sagramenti, che dovevano ricevere.
128.Disse al P.Gasparo che cercasse di tenerli allegri, e li dasse una bella Compositione sopra alla virtù del S.mo Sacramento acciò infervorati da quella, maggiormente si potessero preparare. Li diede la bened.ne e si ritornò tutto allegro alla sua Scuola.
Il P.Gasparo cominciò la scuola e li diede una bell.ma Compositione sopra il S.mo Sacramento, e contro l’insidie del Demonio, mostrando con la sua frode disturbare la quiete di chi voleva far bene ai Poverelli p. amor di Dio e tutta quella matina la spese in cose di devozione. Li fece poi una esortatione come si dovevano preparare p. la Confessione e Communione per la matina seguente, che non mancasse nessuno, che li voleva comunicar lui di propria mano.
Tutti accettarono l’offerta e contenti li mandò alla messa che disse lui medesimo.
129.Finita la Scuola il P.Giuseppe chiamò Ventura Sarafellini dicendoli che andasse a chiamare un falegname et un Chiaveltiero che venissero allora, che voleva far fare una Cassetta. Che tornasse presto acciò si trovassero a tempo al pranzo per poi poter far l’esempii alli scolari, e non si perdesse tempo.
Venne il falegname ed il chiaveltiero e l’ordinò che facessero una Cassetta con tre chiavi l’una differente dall’altra, acciò non si potesse aprire senza che vi fussero tre persone, che dovevano tener le chiavi.
Fù fatta la Casetta a modo che voleva il P.Giuseppe e la sera chiamò il P.Gasparo, e Ventura Sarafellino, li diede una chiave per uno dicendoli, che haveriano veduto la Providenza Divina.
Diede ordine al Sarafellino, che facesse una inscri.ne alla Cassetta in questa maniera: Elemosine per le Scuole Pie. Che le lettere fussero grosse acciò da lontano le potessero leggere, come tutto fù fatto.
130.La matina fece mettere detta Cassetta sopra un poggiolo accanto al Portone, accommodata acciò non si potesse levare e non si pensò ad altro.
La sera fece levare la Cassetta, e chiamato il P.Gasparo et il Sarafellino la fece aprire e vi trovarono dentro una polizetta di duecento scudi d’oro al Banco del Bonanni, che desse dº danaro al P.Giuseppe Calasantio p. elemosina delle Scuole Pie. Contarono poi le monete, che vi erano e trovarono da quaranta e più scudi, sicchè visto dal P.Gasparo restò stupito, e confirmato nel proponimento di seguitare le scuole, dicendo al P.Prefetto che questo era un miracolo.
Li rispose il P. che havesse sempre viva fede, che Dio mai haveria abbandonato, che solo attendesse di servirlo fedelmente, che haveria veduto fare cose più grandi, poiche lui haveria offerto tutte le fatighe che si facevano alla Beat.ma Vergine, la quale prendesse p. Avvocata della sua Scuola.
131.La matina il P. andò al Banco del Bonanni, e li furono consegnati Ducento scudi d’oro senza saper chi li dava. Li fece la ricevuta dicendo: ho ricevuto 200 scudi d’oro dal Sig. Jacomo Bonanni con un ordine in bianco p. elemosina fatta p. elemosina alli Padri delle Scuole Pie.
Tornato a Casa, chiamò il P.Gasparo, posero il Danaro in Cassa con tre chiavi, e poi cominciò a pagar i debiti e vi avanzò qualche danaro p. far le provisioni acciò vedesse il dº Padre la providenza Divina che cosa sapeva fare e continuando la Cassetta delle elemosine nel poggiolo fuora del Portone, ogni giorno crescevano l’elemosine con stupore del P.Gasparo e dell’altri Compagni.
132.Onde il P.Gasparo si diede tanto alla Devotione della Beata Vergine che fece fare una statua di legno al naturale di rilievo in veste dorata, e la pose alla sua Scuola con spesa estraordinaria, dove faceva le sue devotioni e li suoi Scolari, che oggi detta statua sta alla Chiesa di S.Pantaleo, e fù posta in una nicchia di Tavola lavorata di pitture con gradini proportionati et è quella che si chiama l’altare della Madonna e non contento di questo fece anco fare il Presepio del Sig.re con le statue al naturale della Madonna, di S.Giuseppe, delli tre Re Maggi e p. quella del Re Gasparo vi fece scolpir la sua effigie medesima al naturale, come era lui, con una barba lunga, che l’arrivava sino al seno, come si vede era, che sta in genocchio e l’altri Maggi (in) piedi con li doni, e lui con le mani giunte come se stasse in genocchio a far orazione. Questo è l’altare del Presepio a mano destra nell’entrar della Porta grande della nostra Chiesa di S.Pantaleo.
133.Questo P. morì d’Anni Cento e venti cinque /nove/ et era venuto in una semplicità tanto grande, che p.ma dell’Anno Santo 1625 se n’andò dal P.Giuseppe e li disse se lui haveria campato e visto l’Anno Santo dell’Anno 1625. Li rispose il P. che saria campato e visto tutto l’Anno Santo, e passato l’Anno Santo il P. venne in Napoli et il P. mandò non sò che vino al P.Jacomo di S.Paulo à Roma, et in una lettera scritta da Napoli al dº P.Giacomo li raccomanda il P.Gasparo, e li dice che li dia un poco di quel vino, che li mandava, come anco ne dasse al Novitiato. Questo fù dell’anno 1626, mentre il P. si trovava nella fondatione di Napoli, come si puol vedere nel libro delle lettere raccolte da me.
Raccontava di più il P.Francesco della Nuntiata, che il P.Gasparo era divenuto tanto semplice, che quando tornò da Napoli il P.Fundatore una matina in sacrestia li domandò il P.Gasparo se voleva che campasse sino all’altro Anno Santo dell’Anno 1650.
Li rispose che era troppo havendone veduto cinque, che si poteva contentare e Dio sapeva chi era vivo di loro.
134.Haveva un Censo vitalitio il dº P.Gasparo con li Padri Serviti del Convento di S.Marcello di Roma, i quali ogni sei mesi li pagavano una somma grossa di danaro, i quali erano tanto stanchi di pagare, che ogni volta che veniva il semestre, lo venivano a vedere e lo chiamavano il Padre eterno, e lui li rispondeva, che Iddio lo faceva campare p. il Danaro dato a loro, e si faceva il conto che havevano pagato da 50 e più Anni, e tutte quell’entrate le spendeva la maggior parte in cose p. la chiesa, comprava libri, corone, carta e penne e li dava alli scolari poveri, come anco i premi p. le scuole a quelli, che attendevano più tosto a studiare, come a quelli che havevano buoni costumi.
Non mi racordo l’Anno.quando morisse, mà raccontava il P.Gioseppe fundatore, che lui l’haveva conosciuto dall’Anno 1596 sempre puro et intatto e tanto dedito all’oratione che anco vecchio e decrepito non la lasciava mai e lui imbeveva li scolari delli rudimenti della fede con una gratia e facilità tanto grande, che li scolari volevano star sempre seco, tanto l’amavano.
135.Un giorno passò Papa Urbano Ottavo dalla Piazza di S.Pantaleo che andava a S.Pietro, vidde quel venerando vecchio, che sedeva in una sedia fuor della porta della Chiesa. Domandò al Cardinal Mellino, suo Vicario, chi era quel bel vecchio con una barba così lunga, che pareva un altro S.Paulo primo eremita, e teneva tanti figlioli a torno.
Li rispose che quell’era il P.Gasparo Dragonetti, che faceva la p.ma scuola a S.Pantaleo, e cossì vecchio dichiarava le lettioni con una memoria cossì grande, che era cosa da stupire.
Venne curiosità al Papa volerli sentir dichiarare una lettione di Virgilio, essendo lui molto erudito nelle belle lettere, onde li mandò a dire, che la matina andasse a Monte Cavallo, che li voleva sentir dichiarare una lettione di Virgilio.
Li rispose, che saria andato a far l’ubidienza et haveria fatto quanto li comandava, et se voleva altro l’avisasse.
Non occorre altro, porta il tuo Virgilio, che non li vol dar altro incommodo.
136.La matina il buon vecchio con il suo Bastoncino se n’andò a Palazzo, dove stiede assentato un buon pezzo e tuti quei Prelati discorrevano seco di varie storie e pche si faceva tardi e non haveva principio d’haver Audienza, disse al Mastro di Camera: Sig.re è tardi e non posso aspettar più, che son un vecchio, è passata l’ora di pranzo, dica al Papa, che se mi vuole tornarò un altra volta, mà non mi facia stentare e perdere il tempo, e li scolari patiscono, e datoli il bondì se ne tornò a casa senza dir altro. Quando fù detto al Papa si mise a ridere, dicendo povero vecchio, ha bene raggione, e li mandò a dire che andasse il giorno seguente dopo pranzo, che l’averia sentito voluntieri, e non volse, che se li trovasse una carozza dicendo che saria andato pianpiano, bastava che l’accompagnasse qualcheduno.
137.Se n’andò il Venerando Vecchio e subito fù introdotto. Basciato il piede al Papa, lo fece sedere, cavò dalla saccoccia il suo Virgilio, si fece il segno della Croce, e come se fusse in scuola disse, che stassero attenti, che non solo v’era il Papa ma tutta la Camera Secreta. Domandò qual libro haveva accaro che dichiarasse, li fù risposto quale voleva lui. Aprì il libro a sorte e cominciò con una voce sonora, mutandola quando bisognava con tanta gratia, che il Papa ne restò stupito, disse tante storie che pareva havesse studiato quella lettione un gran tempo, poi all’improviso fece un epigramma in lode el Papa, la quale volle che si scrivesse.
138.Li domandò il Papa quanti Anni haveva, come si governava nel mangiare ed in che si tratteneva il giorno.
Beati.mo P., li rispose, l’Anni sono assai, ho finito li cento sono tre anni; mangio quello che mi dà il P.Generale, la sera un poco di pancotto; mi trattengo alla scuola con li miei Scolari, sto per gratia di Dio sano e non mi manca nessun dente, faccio qualche poco d’esercitio quando mi lo concede l’ubidienza, ne mi posso lamentare della Providenza Divina dove stà appogiata la nostra Religione come il P.Generale l’ha provista.
Li domandò il Papa che vedesse di quel che haveva di bisogno, che li dicesse pur liberamente quel che voleva.
Li rispose, che lui non haveva di bisogno di niente, lo ringratiava che solo li bastava la sua beneditione, li baciò il piede di nuovo, lo benedisse dicendoli che s’havesse cura, non facesse tanta fatiga pche l’età era grande e le forze non poteriano resistere.
Replicò che mentre vi era lo spirito sempre haveria fatta la scuola come haveva promesso alla Beati.ma Vergine, la quale lo manteneva con quel vigore p. aiuto de Poveri figlioli ad insegnarli p.ma la via del Cielo, e poi le lettere humane.
139.Era tanto appoggiato il P.Gioseppe della Madre di Dio alla Providenza Divina, che mai si sconfidava di non esser provisto delle cose necessarie per sostentamento de suoi figlioli, e non solo questo, ma quando veniva qualche persona, che li domandava qualche elemosina, mai lo mandava via senza darli qualche cosa, come molti.me volte ho visto Io medesimo. Raccontava il P.Gio: di Giesù Maria detto il P.Castiglia, che una matina venne un Povero in Sacrestia, e li domandò un poco di pane p. amore di Dio. Fece subito chiamare il Refettoriere, e li disse che dasse quattro pagnotte a quel Poverello, acciò si potesse sustentare con la sua famiglia.
Li rispose il Refettoriero, che non vi era altro pane in Casa che otto pagnotte, che era tardi, e non haveva pane p. i Padri.
Li replicò che facesse l’ubidienza e ne le dasse sei, che Dio haveria provisto lui del necessario, e non cercasse altro. Diede il Refettoriero il pane al Povero, e non vi erano restate altro che due pagnotte, del che il Refettoriero cominciò tra se stesso a mormorare, che non sapeva come fare a dar a mangiar ai Padri.
140.Finite le scuole il Refettoriere andò dal P.Generale dicendoli che non haveva pane p. accomodar le portate e non vi erano altro che due pagnotte.
Li rispose che andasse a sonar l’esame di coscienza, che fratanto si pensava come s’haveva da fare, e mentre che i Padri stavano all’oratorio facendo l’esame fù sonata la porta, andò il Portinaro a veder chi era.
Erano due donne cariche con due canestre di pane, e li dissero che una Sig.ra mandava quella elemosina di pane al P.Prefetto acciò i Padri potessero mangiare.
Il Portinaro demandò chi mandava quel pane acciò sapessero i Padri, chi era quella benefattrice p. ringratiarla.
Non occorre altro, prendete il pane e non cercate altro.
141.Chiamò aiuto il Portinaro p. portar il pane in Refettorio, e disse a quelle donne, che aspettasero un poco, che l’haveria restituite le canestre.
Quando il Refettoriero vidde tanto pane cossì bello e bianco, dimandò il Portinaro chi l’haveva portato; li rispose che due donne, che stavano aspettando le canestre, e l’havevano detto, che l’haveva mandate una Sig.ra, e che non cercasse altro.
Prese le canestre il Portinaro, calò alla porta, e non vi trovò nessuno, ne si potè mai trovare, chi havesse mandato dº pane, e le canestre restarono in guardarobba, che se ne servivano da mettere i pani.
142.Fù dato il segno che i Padri andassero a tavola, che il tutto era all’ordine, e dopo pranzo il P. chiamò il Refettoriero p. sapere chi haveva provisto di pane. Li rispose, che il Portinaro l’haveva portate due Canestre di pane bianco, che li disse haverli portate due donne, le quali lasciarono le canestre e non li trovò p. restituirli, e non sapeva altro, che li pareva una cosa miracolosa.
Li rispose il P. che imparasse a far semplicemente l’ubidienza e dasse elemosine, che Iddio e la Beati.ma Vergine non haveria mancato mai della sua providenza, che fusse misericordioso con i Poveri, che cossì sempre saria provvisto.
Diede ordine il P. che di questo caso non se ne parlasse, che forse quella Sig.ra, che haveva mandato il pane non voleva che si sapesse, e pciò non haveva prese le canestre.
Questo più volte raccontò il P.Castiglia, ma altri dicevano che quelle Donne che portarono il pane e dato le canestre al Portinaro, entrato dentro il pane, quando si voltò non li vidde più, sicche non variavano che il miracolo non fusse successo, questo non solo lo raccontava il P.Castiglia, ma anco molti vecchi di casa p. modo di discorso quando si parlava delle cose antiche della Religione.
143.Haveva assignato il P.Gioseppe a più persone povere circa 200 pagnotte la settimana, et il Refettoriere mai più negò lemosina a nessuno. Molte di queste cose raccontavano i nostri vecchi, che ho scritto in un altro libro, che ho lasciato in Roma. Raccontavano ancora che essendo venuto a Roma il P.Tomaso della Visitatione[Notas 1], quello che chiamavano l’apostolo della Sabina, che fù il p.mo fundatore della casa di Moricone, che sta sotto la Diocesi d’uno delli quattro Suffraganii soggetti al Papa, che si chiama il Vescovo della Sabina; era venuto questo P. dal Moricone, e pche pativa quella casa per l’assenza di dº Pare Tommaso, lo chiamò il P. una matina in sacrestia, li domandò s’haveva detta la Messa e rispostoli di sì, l’ordinò che chiamasse non so che Padre, e l’ordinò che a quell’hora si partisse e tornasse a Moricone p.ma che venisse il caldo. Li rispose, che se si contentava che andasse sopra a pigliarsi il Breviario che all’hora voleva partire.
144.Li ripose il P.Generale che andasse presto con il Compagno, e se n’andassero via pche poi non potevano più viaggiare. Subito andò di sopra, e chiamato il Compagno, vennero abasso e presa la bened.ne, disse il Compagno che saria bene p.ma di partire si provedessero di qualche cosa p. la strada, essendo il viaggio di ventidue miglia, che p. strada non havevano che mangiare. Li rispose il P. che s’andassero pure alla providenza di Dio, che l’haveria proveduto abbondantemente delle cose necessarie, che Dio non abbandona mai chi lo serve. Presa la bened.ne con il loro bastone partirono p. Moricone e fatta quasi la metà del Camino, venne il caldo, et (il) compagno del P.Tomaso non solo era stanco, ma haveva appetito et una sete grande, e disse al P.Tomaso, che non poteva più, che si voleva riposare.
145.Il P.Tomaso li disse, che andassero dentro una macchia p. non star nella strada, che si sariano riposati un poco e poi haveriano seguitato il viaggio, et entrati dentro la macchia trovarono una salvietta, dove vi erano due bianchissime pagnotte, due merangoli, con no so che altro et un fiasco di vino. Il che visto dal P.Tomaso disse già che la providenza Divina ci ha provisti ricreamoci. Cominciarono a mangiare e bere abbastanza, e li superò del pane, che ne portarono a Moricone, dandone un poco p. ognuno de Padri. La tennero p. cosa miracolosa della providenza Divina, come l’haveva detto il Venerabil P. che andassero alla providenza di Dio, che mai haveria mancato a chi di cuore lo serva. Non sò il tempo quando successe questo fatto, ma lo raccontavano i nostri vecchi e più volte l’ho sentito raccontare.
146.Habbiamo già visto i modi et i mezzi presi da Dio p. confermar la vocatione del Venerabil P.Gioseppe della Madre di Dio, al secolo Gioseppe Calasantio, con altri accidenti, che non sono alla vita scritta dal P.Pietro della Nuntiata, e benche habbia toccato qualche cosa non l’ha posta cossì espressa come l’ho posta Io. Hora seguitaremo da quando era secolare p. far vedere, che ognuno lo desiderava in sua Compagnia nelle cose pie e massime ne principi della fondatione.
147.Circa l’Anno 1594 pensò S.Filippo Neri con altri suoi figlioli spirituali che si trovassi modo di far alloggiare i Pellegrini che venivano a Roma, che già s’andava avvicinando l’Anno Santo del 1600. Cominciaron ad aprir una Casa alla Contrada di Ponte Sisto, dove era corte, che si poteva ampliare p. far questa Carità, come anco aiutar quei Poverelli, che uscivano dall’ospedali convalescenti che non havevano aiuto a rihaversi nella loro Convalescenza, che per mancarli le cose necessarie del vitto facilmente ricadevano nell’infermità, et era necessario ritornar di nuovo all’ospedale, intanto che mai si vedevano liberi dall’infermità, sicchè S.Filippo Neri con alcuni suoi figlioli spirituali pensarono di fondare una nuova Compagnia sotto titolo della Santi.ma Trinità de Pellegrini, et il loro instituto è d’alloggiare per tre sere tutti i Peregrini, che andavano a Roma, e di tenere per alcuni giorni in Convalescenza quelli Poverelli, che uscivano dell’ospedali, i quali non si possono aiutare a rihaversi, delli quali fu fondata una Arciconfraternità della quale è solito esser Capoguardiano il più congiunto de Pontefici e Prottetore anco il Nepote del Papa, come a tempo di Papa Urbano era il Cardinal D.Antonio Barbarino.
148.A questa Archiconfraternità nella sua p.ma fund.ne vollero che si scrivesse il P.Gioseppe Calasantio, et ogni sera andava ad aiutar a lavar i piedi a poveri Peregrini con ogni carità, come haveva visto che haveva fatto Papa Clemente ottavo, che il Giovedì santo vi andava a lavar i piedi a pellegrini con tanta pietà, che qui la maggior parte de Pontefici hanno seguitato a lavarli i piedi e servirli a tavola, come Io ho visto far a Papa Urbano 8º, Innocenzio Xº, Alessandro settimo e Clemente Nono, i quali con tanta pietà et esempio imitano i Cardinali, Prelati e Cavalieri con portarli anco la cassa con grandissima spesa del che le Dame ancora danno alle Donne Pellegrine e fanno a vicenda a chi li puol lavar i piedi regalandole di molte cose mangiative come sono le giornate. È tanto poi cresciuta questa Compagnia di Richezze che non ha nessun bisogno d’aiuto, se non quando viene l’Anno Santo, che alle volte da alloggio a 20 m. persone p. tre sere acciò guadagnano l’indulgenze, e chi va con dª Compagnia che l’accompagna alle quattro Chiese il Papa li dispensa delle trenta volte p. levarsi la molteplicità delle spese che si fanno alla Compagnia p. chi vanno in Roma a guadagnar l’Indulgenze dell’Anno Santo, come Io medesimo ho visto il tutto.
149.Sicche il nostro P.Giuseppe s’impiegò in questa opera pia l’Anno Santo del 1600 come fratello dell’Archiconfraternità, ancorche havesse fondate le Scuole Pie, delle quali in quel Anno Santo diede saggio del nuovo Instituto a tutto il Mondo che concorse in Roma in quest’Anno, come si suol fare ogni 25 Anni per guadagnar dette indulgenze.
Come fece anche dell’Anno Santo 1625 a tempo di papa Urbano che già le Scuole Pie erano tanto cresciute, e fatte Religione, che vedevano l’esempio e profitto, che si faceva con li scolari, che furono cercate da molte parti del Mondo, che p. non haver suggetti a proposito p. dar satisf.ne come si doveva, il P.Giuseppe andava dicendo, che a suo tempo l’haveria consolati, essendo ancor la pianta tanto tenera che non si poteva trapiantare come voleva lui.
150.Morto poi il Venerabil P. feci Io molte diligenze p. scovare se vi era scritto in questa Compagnia della Santi.ma Trinità di Peregrini, e fù trovato il nome di D.Gioseppe Calasantio p. il che fù fatta una Congregatione privata e concluso che si dassero tre memoriali in nome della dª Compagnia, che si faceva l’instanza al Papa Alessandro settimo p. la Beatificazione del P.Gioseppe della Mre di Dio, fundatore delle Scuole Pie, il quale era p.ma stato fratello della loro Archiconfraternità. Furono fatti i tre Memoriali, e ne diedero la incumbenza al Sig.D.Ursino de Rosis, Secretario della dª Compagnia, il quale con grand.ma li portò a Papa Alessandro settimo et il Papa li rimesse alla sacra Cong.ne di Sacri Riti della quale è Secretario Mons ig.Casali.

Notas

  1. Qui il P.Caputi per errore dice il P.Francesco di S.Francesco, poi corretto col vero nome di Tomaso della Visitatione. Nel resto della narratione metteremo sempre Tomaso, dove il P.Caputi mette Francesco. /N.d.R./