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- Cap. 5 Quello che fece l'Em.o Cardinale Roma Vescovo di Tivoli
Nel Vescovado di Tivoli sino del 1627, se bene mi ricordo, o pure nel 1628 furono chiamate con molta istantia le Scuole Pie dall'Ill.mo et Ecc.mo Sig. Lottano, et Appio Conti respettivamente Principe di S. Gregorio, et Duca di Foli per questa sua terra, come si è scritto nelli passati volumi. Or sebene il detto Em.o Cardinale Roma milanese di nascita, nella Congregatione sopra li affari delle Scuole Pie dimostrò sempre di riavervi poco affetto, et era tenuto per contrario al nostro Istituto, e V.P. Fondatore essendo in questi anni Vescovo di Tivoli della cui diocesi è la terra di Poli, publicato in Roma la nostra redutione di Religione in Congregatione sogetta del tutto agli Ordinari! de' luoghi, mandò a chiamare il Superiore di quella casa a Tivoli, et lo ricevette con dimostratione di paterno affetto. Essortolo per prima a mutare l'habito in quello di Prete secolare, et a coprirsi li piedi con portare le scarpe serrate per non essere più Religione la nostra, il che fece non solo questa, ma molte altre volte, sebene da nostri Padri li fu sempre risposto, di volersi conformare con quelli di Roma, dove era il N.V.P. Fondatore, et altri servi del Signore, et che mentre il Sommo Pontefice non li sforzava non pensavano di mutarlo, et che havendo da principio cominciato con quelle, pensavano, e speravano morirvi, per essere stato approvato da Sommi Pontefici, et che il patire per amor di Dio non si può prohibire, e però sempre stettero saldi li nostri Padri ancorché li fossero dati più assalti dal detto Em.o. Il quale cominciandoli a praticare nell'interno ed esterno con le visite che più volte li mandò di due Rev.di Pdri Eremitani di S. Agostino suoi teologi, cioè il P. Maestro Gio. Batta Penna et il R.mo P. Visconti, che fu poi Generale della sua Religione, e dopo Vescovo in S. Chiesa, li stimava e lodava molto, dicendoli per sopra nome li miei buoni Padri. In quella prima volta che li fece chiamare li ordinò che non si partisse alcuno, né si ricevesse altri, senza sua espressa licenza, o del suo Vie. Generale, li concesse però che potessero andare a Roma, et a Tivoli ogni volta che li faceva bisogno, et al Superiore diede l'infrascritta Patente (vedi T. II, 1. 3, e. 32).